Quella sopra è veramente una immagine ad effetto, che non smette mai di colpire e che sempre più spesso ritrovo online per esemplificare il concetto del “chi scarica illegalmente non è eticamente attaccabile”.
Sfortunatamente è non solamente formalmente errata, ma peraltro ben poco attinente alla realtà, perché paragona un “bene” ad un “servizio” e nella produzione filmografica o musicale la vera “ricchezza” che viene rubata non è il possesso materiale del bene (es. *”avevo un piatto d’argento e ora non l’ho più”*), ma il mancato godimento delle “revenue” per quella visualizzazione ad autori e distributori (es. *”per il fatto che ho visto/sentito non ho pagato il compenso a chi ha creato questa cosa”*).
Non funziona nemmeno l’esempio del *”ma tanto non cambia, lo producono lo stesso”*: vedere un film “scaricato” senza pagare i diritti *”perché tanto lo hanno fatto lo stesso”* è, invece, esattamente assimilabile al **prendere un mezzo senza pagare il biglietto**: è vero che **non ho rubato** perché non ho sottratto il tram, è vero che **non ho rubato** perché comunque il tram avrebbe fatto la corsa senza di me, ma è anche vero che **ho usufruito di un servizio senza pagare** e che, quindi, ho danneggiato con un mancato introito la società che gestisce il servizio stesso.
L’abuso di ambedue i comportamenti (non pagare il biglietto e/o non pagare per vedere/sentire un brano/film) porta alle stesse conclusioni: se portato troppo avanti **distrugge economicamente chi eroga il servizio**. Nel caso della musica e del cinema, inoltre, impatta su un lavoro (*spesso*) artistico.
E non pagare perché *”costa troppo ed è sovraprezzato”** dovrebbe suscitarci lo stesso sentimento che ci susciterebbe qualcuno che dice *”non pago le tasse perché sono troppo alte”*, *”lo rubo dal negozio perché costa troppo”*, *”squatto le case di altri perché gli affitti sono troppo cari”* o anche, solamente, “non pago il biglietto mentre tu lo paghi perché secondo me ci lucrano”.
Ma così, in realtà, non è per qualche strana ragione etologica che stento a comprendere.
Estote parati.
### Addendum 1: “proprietà != licenza”
Questo mio articolo non ha nulla a che spartire con i (giusto) astio nei confronti dello spacciare una non meglio precisata “proprietà” con in realtà la cessione di una sorta di “noleggio” anche se perenne. Convengo che sia errato e fuorviante, oltre che foriero di grandi problemi.
L’esempio di Amazon di qualche tempo fa con la [rimozione del testo di Orwell dai Kindle][1] degli utenti credo ne sia emblematico.
### Addendum 2: pirateria come “disobbedienza civile”
Sono invece fortemente contrario a chi inneggia alla pirateria come disobbedienza civile: non credo che una pratica che distrugge un mercato sia meritoria e da favorirsi (ad esempio) al totale ostracismo verso taluni soggetti a favore di altri.
Con la scusante del “lo faccio per dare un segnale al sistema”, nella realtà, non si fa altro che ledere un terzo che poco ha a che fare con la battaglia (l’autore, non il distributore). Se **VERAMENTE fosse una questione etica** ci si limiterebbe a **NON usufruire di un bene o servizio** perché non in accordo con la visione del mercato.
Vi faccio un esempio pratico: se sono **contro l’allevamento intensivo** ed i metodi cruenti divento vegetariano (*come sono*), non vado **a rubare capi di bestiame** o a **dare fuoco all’allevamento**. E sono convinto che il calo nella domanda porterà a più miti consigli il mercato. Mi *”sacrifico”* per l’ideale che voglio perseguire, non vado comodo comodo a dire *”siccome non sono d’accordo rubo una mucca”*.
[1]: http://www.nytimes.com/2009/07/18/technology/companies/18amazon.html?_r=0
Sono d’accordo sul fatto che chi abusa distrugge economicamente chi eroga un servizio,; un principio che vale in ogni settore.
“una pratica che distrugge un mercato”
Mi soffermo solo su questo punto – per ora ;) – mi riesce/i a portare studi scientifici indipendenti che dimostrino quello che lei/tu afferma/i?
Se gli studi sono quelli a cui si riferisce di solito l’industria dell’intrattenimento, il loro “valore scientifico” è stato ben “soppesato” nel libro bianco sul diritto d’autore scritto a più mani nel 2011 ( il relativo capitolo è reperibile a questo indirizzo http://www.fakepress.it/ebooks/copyleft/?p=30 ), mentre una raccolta di studi indipendenti che mettono in serio dubbio quanto affermato nella sua/tua frase è disponibile sul sito de La Quadrature du Net a questo indirizzo https://wiki.laquadrature.net/Studies_on_file_sharing , byez.
@Yanfri: certamente, una logica del 100% degli usufruitori che NON paga per un servizio non danneggia un mercato. Il mercato si sostenta, infatti, semplicemente sulla beneficenza…
Siamo seri, dai, a parte le puttanate da partito Pirata…. :(
Un conto è validare il freeriding (sino a che rimane in limitate dimensioni), un altro dire che se il fenomeno viene praticato dalla maggioranza degli individui la cosa ha un impatto economico devastante.
Questo un mio articolo scritto nel 2007: Negli ultimi decenni del millennio scorso, nell’epoca della preistoria tecnologica, il problema della pirateria quasi non sussisteva. Per ascoltare della musica si accendeva la radio e per vedere un film si andava al cinema. Fotocopiare un libro era più costoso che comprarlo nuovo ed i dischi in vinile non si potevano “copiare”. Poi le cose sono cambiate: i nastri magnetici hanno permesso di registrare audio e video in cassette e videocassette di cui si facevano copie con più facilità. Dai nastri magnetici musica e film sono stati portati in fedelissimi supporti digitali, i CD ed i DVD, trasformando suono ed immagini in numeri che possono essere trasmessi via Internet e copiati in delle memorie piccole a sufficienza da essere attaccate ad un portachiavi. Con il tempo non è solo cambiato il “supporto” dove conservare musica, film, libri ed immagini, ma sono mutate le modalità con cui ne si dispone e ne si usufruisce. La musica viene ascoltata attraverso il telefonino, i film visti nello schermo del computer, i libri letti dopo essere stati comodamente stampati a casa. Il tutto può essere condiviso con estrema facilità: mentre all’epoca dei dischi in vinile l’atto di prestare ad un amico un 45 giri voleva dire, nella migliore delle ipotesi, restare senza quella musica per qualche settimana (e nella peggiore delle ipotesi restare per sempre senza disco e senza amico), oggi si può “dare” della musica a qualcuno senza il rischio di perderla! Il tutto avviene in modo così semplice ed automatico, che quasi sembra ovvio. Per esempio, inserendo un CD musicale nel computer ed iniziando ad ascoltarlo, in nemmeno tre minuti il computer “sputa” fuori il CD, ma continua a riprodurre la musica: la ha automaticamente copiata sulla sua memoria. Con la semplice pressione di un tasto si può copiare la musica dalla memoria del computer alla memoria di un telefonino per poterla ascoltare facendo jogging con un amico a cui si può copiare via bluetooth (la connessione senza fili tra apparecchi elettronici) la musica anche nel suo cellulare. L’amico copia la musica dal suo telefonino al suo computer e la spedisce via email ad un suo ipotetico cugino. In un solo giorno quel brano musicale è stato copiato cinque volte e tre persone hanno infranto diverse leggi sul copyright e, forse senza nemmeno saperlo, vengono considerati dei “pirati”. Purtroppo, nonostante la tecnologia si sia evoluta parecchio negli ultimi anni, la mentalità dei gestori dei diritti d’autore e dei legislatori non si è evoluta a pari velocità: invece di sfruttare i vantaggi offerti dalla facile diffusione delle opere audio e video, hanno usato tutte le loro energie per provare ad ostacolarne la distribuzione da persona a persona e via Internet. Ciò che dovrebbe essere gestito e regolamentato, per sconfiggere la “pirateria”, non è il possesso di brani musicali e di film, bensì la loro fruizione. Con la tecnologia disponibile oggi sarebbe facile addebitare all’utente qualche millesimo d’euro per ogni volta che ascolta un brano musicale, qualche centesimo d’euro per ogni volta che vede un film, un euro per ogni volta che stampa un libro. In questo modo verrebbero premiati i meriti: più la musica, i film o i libri piacciono, più chi ne detiene i diritti d’autore guadagna. Il giusto concetto è quello applicato al cinema: un solo schermo, ogni persona paga un biglietto. Il film ha un incasso proporzionato a quante persone lo vedono. Lo stesso concetto si applica ad un concerto o ad un museo. Non funziona così con i CD musicali, i videogiochi ed i film in DVD, dove, al contrario, il guadagno è dato dal numero di copie vendute e non dalla quantità di volte che l’opera viene usufruita: acquistando un DVD originale e prestandolo a cinquanta amici che lo guarderanno, non viene commesso nessun reato. Diversamente, se i cinquanta amici vedono il film su una copia dell’originale consegnata loro in persona o via Internet, il numero di volte che il film è stato visto non cambia e l’incasso dell’autore non cambia (è stato venduto in entrambi i casi un solo DVD originale), ma è stato commesso un reato di “pirateria”. E’ da ritenere quindi che il metro con cui la diffusione di musica e film viene considerata un’attività illegale non è corretto. Idealmente, se gli incassi fossero determinati dal numero di volte che un film viene visto o della musica viene ascoltata, nel momento in cui un utente distribuisce via internet film e musica, piuttosto che “pirata” dovrebbe venire considerato, dai detentori dei diritti d’autore, un benefattore!